Kei Zit mue springe…
Vor allem letzte Zeit fällt uns und auch anderen Transformationsbegleitern auf, dass unsere Ansprechpartner immer weniger verfügbar sind. Sie sind immer besetzt, stetig in Meetings, kurz angebunden, Entscheidungen müssen ad Hoc sozusagen zwischen Tür und Angel erfolgen, Kommunikationen brauchen ewig, bis sie dann definitiv raus können, es isch zum Haaröl seiche 😀
Das ist nicht nur frustrierend, sondern steckt an, weil wir einfach nicht vorwärts kommen, obwohl wir ja dafür mandatiert sind, um weiter zu kommen. Bei mir kommt dann sofort die Frage auf, ist unser Thema plötzlich nicht mehr relevant? Soll ein Projekt darunter leiden, weil Entscheidungsträger zu busy sind, sich mit Entscheidungsgrundlagen auseinanderzusetzen? Ist da eine hidden Agenda? Haben sie einfach nicht den Mut den Stecker zu ziehen? Machen wir einen schlechten Job?
Auch fällt mir auf, dass gerade unsere Themen, wo es um Veränderungsbegleitung geht, meistens so nebenbei Sachen sind. Also zusätzlich zum daily Business. Zählt nicht zur Beurteilung an der ich gemessen werde… Wo wir doch genau wieder beim Thema Veränderung sind. Unser Umfeld ist immer stärker von Unsicherheit geprägt, alles dreht sich immer schneller und wir versuchen mitzuhalten bis es einfach nicht mehr geht. Von Aussen sehen wir zu, wie gute Mitarbeitende springen und springen, bis sie einfach nicht mehr können. Und der Druck kommt in der Regel nicht Mal vom Arbeitgebenden, sondern von den Leuten selbst. Ja sie legen sich den Druck selbst auf!
Alle wollen einen guten Job machen, wir selbst ja auch, deshalb steckt es an! Und es ist verdammt schwer das anzusprechen, denn es gibt den Personen mit denen wir zusammenarbeiten nur noch mehr Druck. Wie sollen wir das nun angehen? Was würdet ihr tun? Ist straight forward, richtig? Sollen wir einfach alles kli meh patgific angehen und Druck aus dem System nehmen? Oder lömers eifach schliife? Letztendlich müssen wir auch zu uns selbst ehrlich sein, wollen wir unseren Job halbbatzig machen? Oder machen wir unseren Job, eben genau weil wir dieses Feingefühl haben und es ansprechen, umso besser?
Ich mache die Erfahrung, dass je entspannter wir bleiben, umso mehr strahlen wir das auch aus. Das gibt so ein Gefühl von “dureschnuufe” doch es geht ganz schnell und wir geraten dann selbst in den Strudel hinein. Let’s get Shit done, Maaannn das dauert, warum muss das jetzt noch durch sieben Hände? Ist denn kein Vertrauen da, dass wir einen guten Job machen? Letztendlich sehen wir nur einzelne Puzzleteile und nicht das gesamte Bild, daher bleiben wir professionell, liefern gute Arbeiten ab und überlassen das Gaspedal den Auftraggebenden. Alles hat seinen Sinn. Und dennoch, ist es auch unser Job, unsere Wahrnehmung weiterzugeben.
Wia machsch du das? Wia gahts diar bi dem Thema?
Druck useneh, aaspreche oder eifach schliife lah?
Bi gspannt
Cheers
Ruggero
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Non ho tempo, devo saltare…
Soprattutto negli ultimi tempi, noi e altri accompagnatori della trasformazione abbiamo notato che i nostri referenti sono sempre meno disponibili. Sono sempre occupati, costantemente in riunione, corti in parole, le decisioni devono essere prese ad hoc, per così dire tra una porta e l’altra, le comunicazioni richiedono un’eternità prima di poter essere definitivamente inviate, è davvero fastidioso 😀
Questo non è solo frustrante, ma è anche contagioso, perché semplicemente non riusciamo ad andare avanti, anche se il nostro mandato è proprio quello di farlo. Mi viene subito da chiedermi: il nostro tema non è più rilevante? Un progetto deve soffrirne perché i decisori sono troppo in corsa per occuparsi delle basi decisionali? C’è un’agenda nascosta? Semplicemente non hanno il coraggio di staccare la spina? Stiamo facendo un cattivo lavoro?
Mi colpisce anche il fatto che proprio i nostri temi, che riguardano l’accompagnamento al cambiamento, siano per lo più questioni secondarie. Quindi in aggiunta al lavoro quotidiano. Non contano per la valutazione… E siamo di nuovo al tema del cambiamento. Il nostro ambiente è sempre più caratterizzato dall’incertezza, tutto gira sempre più velocemente e noi cerchiamo di stare al passo finché non ce la facciamo più. Dall’esterno vediamo i buoni collaboratori saltare e saltare finché non ce la fanno più. E la pressione di solito non viene dal datore di lavoro, ma dalle persone stesse. Sì, sono loro stessi a mettersi sotto pressione!
Tutti vogliono fare un buon lavoro, anche noi, ecco perché è contagioso! Ed è dannatamente difficile parlarne, perché questo mette ancora più pressione alle persone con cui lavoriamo. Come dovremmo affrontare la questione? Cosa fareste voi? È semplice, no? Dovremmo semplicemente affrontare tutto con più calma e togliere pressione dal sistema? O semplicemente lasciar perdere? Alla fine dobbiamo anche essere onesti con noi stessi: vogliamo fare il nostro lavoro a metà? O lo facciamo proprio perché abbiamo questa sensibilità e la affrontiamo, tanto meglio?
La mia esperienza è che più siamo rilassati, più lo trasmettiamo agli altri. Questo dà una sensazione di “respiro”, ma dura poco e poi finiamo noi stessi nel vortice. Diamoci da fare, ragazzi, ci vuole tempo, perché deve passare ancora tra sette mani? Non c’è fiducia nel fatto che facciamo un buon lavoro? Alla fine vediamo solo singoli pezzi del puzzle e non l’immagine completa, quindi restiamo professionali, consegniamo un lavoro ben fatto e lasciamo che siano i clienti a premere sull’acceleratore. Tutto ha un senso. Eppure è anche nostro compito trasmettere la nostra percezione.
Come fai tu? Come la pensi su questo argomento?
Togliere la pressione, ne parli o semplicemente lasci perdere?
Sono curioso
Saluti
Ruggero